Teatro

AMSTERDAM, Don Giovanni e Così fan tutte

AMSTERDAM, Don Giovanni e Così fan tutte

Amsterdam, Muziektheater DNO, "Don Giovanni" e "Così fan tutte" di Wolfgang Amadeus Mozart NELLA MENTE DI DON GIOVANNI, L'ULTIMA SPIAGGIA DI COSI' FAN TUTTE Il “Don Giovanni” dei registi Jossi Wieler e Sergio Morabito (perchè è indubbiamente il “loro” Don Giovanni e non quello di Mozart – Da Ponte) è un brutto spettacolo di cui è impossibile dare un giudizio positivo, pieno com'è di contraddizioni insanabili. Uno spettacolo che nasce da un forte impulso di pensiero, personalissimo (l'idea che i personaggi siano intrappolati nel loro passato, l'idea che Don Giovanni sia un incubo, che impedisce a ognuno di essere sereno, di riposare, di avere una tregua nella mente e nei sentimenti, di dormire in pace, di vivere senza ombre), ma che non riesce a suscitare emozioni, se non ironiche risate al pur tranquillo e tollerante pubblico olandese, per l'insensatezza delle scelte registiche e il cattivo gusto della scenografia. Questo Don Giovanni si rivela sin dall'inizio insensato e paradossale, minato da insanabili squilibri. Il sipario di apre su una scenografia a tre livelli con nove letti, uno diverso dall'altro, “punti di sosta” in cui i protagonisti dormono, tranne Don Giovanni che si muove tra di loro. Non si comprende, e il mistero resta oltre la fine dello spettacolo, se i personaggi sono ridotti a pura emanazione della mente di Don Giovanni oppure se è lui ad essere non-reale, la proiezione degli incubi di ognuno. Tutta la vicenda trascende i tradizionali risvolti ultraterreni e si svolge a un livello mentale oppure onirico, nella mente o nella coscienza di qualcuno: il dubbio è che si svolga in quelle dei registi. Una visione parziale, limitata, spesso priva di senso. Sulle tinte fosche dell'overture Leporello se ne sta in disparte, timido e pavido, con le mani in tasca, impaurito dalla sua stessa ombra e canta la sua aria iniziale come se fosse già stanco. Don Giovanni butta via gli psicofarmaci di cui si è imbottita Donna Anna; il duetto si svolge da letti separati e finisce con Don Giovanni che “mortalmente ferisce” il Commendatore con una bambola che gli scaglia contro, bambola che ha preso dal letto di Anna (forse è la sua anima, la sua interiorità intangibile, come negli affreschi medioevali). Anna prende coscienza dell'assassinio del padre (“Io manco.. io moro”) e si imbottisce di tranquillanti; Ottavio accorre in suo soccorso (“Datele nuovi aiuti”), leggendo i foglietti illustrativi delle medicine di Anna e la scena, che passa per un momento in cui Don Giovanni butta Don Ottavio dal letto, finisce con Donna Anna che si trasferisce nel letto del padre (dove il Commendatore giace in posizione funebre) e qui si addormenta. L'arrivo di Elvira è preceduto dal suo risveglio e dal make-up davanti allo specchio nell'angolo bagno vicino alla sua “postazione-letto” ed è completamente privo di collera, mentre Leporello riprende tutto con una cinepresa e Don Giovanni gira una clessidra sul comodino del Commendatore, prima di fuggire dentro un armadio. Il “catalogo” è una serie di filmini (si presuppone spinti) che il servitore ha girato del suo padrone. Da qui in poi Leporello non farà altro che toccarsi le parti intime, in un movimento mani-in-tasca che assomiglia anche a un prurito fisico oltre che indice di desiderio sessuale e che alla fine ha fatto esplodere la mia vicina a gran voce “Do it, just one time, but do it completely”. Non c'è il coro: giovinette e giovinetti rimangono sulla carta, ma questo è poco male. Peggio “Là ci darem la mano” accompagnato da un fastidiosissimo e rumorosissimo tichettio provocato dall'antiquata cinepresa di Leporello che riprende il momento del duetto, invero una “pomiciata” quasi hard-core di Don Giovanni e Zerlina. Le successive scene scorrono con i cantanti separati, bloccati nei loro letti. La confessione di Donna Anna è fatta a Don Ottavio mentre lui stringe tra le braccia la bambola di prima, forse di nuovo l'anima di lei, che però si contorce contro il corpo del padre. L'unica scena che salverei da questa ecatombe è l'aria “Dalla sua pace”, cantata da Ottavio ma sicuramente sentita e condivisa intimamente, anche di più, da Elvira, la quale afferra, annusa e stringe l'impermeabile di Don Giovanni, avvolgendocisi poi dentro, facendo proprie quelle parole struggenti. Il bel momento poetico è subito scontato: un taglio netto su tutto il recitativo e, chiusa l'aria di Ottavio, Don Giovanni attacca “Fin ch'han dal vino”, una scelta direttoriale senza senso, su musica dal volume troppo forte. Difficile da comprendere anche scenicamente. Rimane la rabbia di Don Giovanni, che canta, qui appropriato come non mai “Su svegliatevi da bravi”, ma tutti continuano a dormire, anzi, come malati di narcolessia, si svegliano per cantare, poi, immediatamente, si riaddormentano profondamente. Leporello continua a toccarsi in continuazione, a contorcersi, mugolando infoiato nell'eccitazione: evidentemente non per le signore amanti del padrone ma per il padrone stesso (idea non nuova in letteratura e a teatro, mirabilmente studiata da Calixto Bieito in un allestimento shock di Barcelona), poiché nell'invitare Masetto a ballare ci prova spudoratamente con lui. L'offesa a Zerlina le ha provocato una vistosa macchia rossa sul davanti del candido vestito nuziale (ma come è possibile, se poco prima si era lasciata andare a un rapporto con Don Giovanni che poco lasciava all'immaginazione), il lampadario si muove vistosamente (vai a capire perchè, forse Don Giovanni è come Prospero, scatena le tempeste), i musicisti sul palco si addormentano (anche loro!) e i cantanti sparano a Don Giovanni. Da rilevare che il continuo è affidato alla spinetta, suonato da un uomo en travesti con costume ottocentesco: nel libretto risulta essere “la Commendatrice”, forse la moglie del Commendatore o piuttosto la nonna, vista la distanza temporale dei costumi. Una scelta difficile da comprendere, considerata la contemporaneità dell'allestimento. O magari a Barbara Ehnes e Anja Rabes, che hanno curato le scelte scenotecniche, piace il dipinto di Silvestro Lega “Lo stornello” della Galleria di Palazzo Pitti a Firenze: allora farà loro piacere sapere che sarà esposto alla mostra “Silvestro Lega – i Macchiaioli e il Quattrocento” che sarà aperta a Forlì dal 14 gennaio al 24 giugno 2007. Il secondo atto rivela letti tutti storti come dopo un terremoto e i protagonisti vistosamente invecchiati e ingrassati, tranne Don Giovanni. Per ingannare Elvira, Leporello si veste in costume rinascimentale con tanto di piuma sul cappello, personificando l'idea archetipica del “Don Giovanni”. La splendida aria “Deh! Vieni alla finestra”, pur ben cantata dai due protagonisti, è guastata dall'agitarsi frenetico del lampadario enorme e dal sibilo del vento che muove tutti i tendaggi della scenografia, nemmeno fosse Lucia di Lammermoor o La sonnambula o qualche racconto gotico dell'epoca del Romanticismo. Insensatezza per insenzatezza, Don Giovanni invita “Metà di voi qua vadano, e gli altri vadan là” a un palco vuoto, per l'assenza del coro e di figuranti. Anna, come in preda a sonnambulismo, vaga per la scenografia alla ricerca di una via di fuga che non trova e si arrampica su una scala dell'armadio a muro rimanendovi appollaiata. Zerlina canta “Vedrai, carino”, ma nonostante i tentativi Masetto non riesce a fare l'amore con lei e, arrabbiato, si volta nel letto e si addormenta; a Zerlina poco importa, il ricordo delle prestazioni erotiche di Don Giovanni è recente. Poi è la volta di Elvira, inginocchiata davanti al letto su cui giace, oramai da ore, il cadavere del Commendatore: in questa posizione assurda e inspiegabile canta “In quali eccessi o numi”, mentre Masetto, distrutto dal confronto a letto con Don Giovanni, osserva tutto nascosto dietro una scala: Zerlina ormai si è fatta prendere la mano e, nel dire a Leporello “Così, così cogl'uomini, così, così si fa”, rivela gusti sadomaso. È il momento del banchetto, Don Giovanni entra con un cestino di vimini, all'interno magari un bel tiramisù, invece solo piatti forchette e tovaglioli con cui allestisce un picnic ma nel contempo fa un casino nella cameretta di Leporello. In linea con “Così fan tutte”, la musica del “bel concerto” è registrata. L'ultima trovata, finalmente sono i letti che si muovono, come le macchinine degli autoscontri; Leporello isolato dagli altri con le cuffie per ascoltare musica (oppure per non sentire la brutta direzione orchestrale) e Don Giovanni che, alla fine, risorge, riappare vestito da “Don Giovanni” come prima Leporello, l'idea archetipica del personaggio letterario. A queste insensatezze si accompagna la direzione orchestrale di Ingo Metzmacher, non raffinata, slabbrata, attacchi non puliti, volume eccessivo, soprattutto nelle arie del protagonista. I cantanti faticano non poco con questa regia e questa direzione, con risultati non univoci. Bene Myrtò Papatanasiu (Donna Anna) sia per linea di canto che per voce. Charlotte Margiono (Donna Elvira) non convince all'inizio ma raggiunge buoni risultati nel secondo atto. Josè Fardilha (Leporello) è molto penalizzato dal personaggio ridicolo ma rivela notevoli capacità attoriali. Incolore Masetto (Roberto Accurso), brava per voce e recitazione Cora Burggraaf (Zerlina), nella parte Mario Luperi (Commendatore). Pietro Spagnoli sente di certo la responsabilità maggiore dello spettacolo su di sé nel ruolo eponimo e, da quel professionista che è, arriva in fondo in modo impeccabile, anche se l'impressione è che sia “bloccato” in una sorta di rete che ne trattiene i movimenti: ma la voce è bella e solida (l'acmè in quello struggente “Elvira, idol mio” del secondo atto, anche perchè non disturbato dal volume eccessivo dell'orchestra oppure da rumori di scena, come invece tutto il resto della performance) e la capacità attoriale notevole (l'acmè nel lanciare in alto chicchi d'uva e riprenderli con la bocca con capacità quasi circense). Il resto sono le risate ironiche del pubblico che hanno accompagnato tutta la rappresentazione, il dissenso aperto per il direttore d'orchestra e gli applausi convinti per i cantanti. Un poco meglio “Così fan tutte”, meno insensato. Ambientato negli anni Cinquanta e Sessanta, forse negli Stati Uniti, “Così fan tutte” ha una bella scenografia girevole che mostra tre ambienti, una zona notte (la camera delle ragazze), una zona giorno (il salotto delle ragazze e altro), un ristorante, dove lavora la “cameriera” Despina. Intorno sabbia, per una spiaggia, l'ultima spiaggia di questa regia Wieler-Morabito con poco senso, che ha inutilmente attualizzato lo spettacolo rivelando invece un vuoto incolmabile di idee. Non solo registiche, ma anche di direzione orchestrale: anche qui Metzmacher ha diretto l'orchestra rumorosamente con attacchi non nitidi e passaggi ampi e superficiali. A un certo punto, dopo la prima scena, lo spettacolo si è interrotto, il pubblico ha atteso pazientemente, poi ha cominciato a tossire, a rumoreggiare, ad applaudire, anche per cercare di capire che stava succedendo, intuendo problemi tecnici: il direttore, mantenendo le spalle verso il pubblico, si è lasciato andare a un ampio gesto con il braccio veramente fuori luogo, di cattivo gusto ed indice di vuota presunzione, a cui il pubblico delle prime file ha replicato con una scarica di fischi. L'impressione della regia è quella di una recita scolastica, divertente, se fatta da adolescenti senza esperienza. E se la scenografia è bella e le luci azzeccate, la regia non c'entra nulla con il testo. Fastidiosa l'idea di affidare il continuo a un hippy che circola per la scena con la sua chitarra, come intorno a un falò di un campo scout: ma ciò crea una spiacevole dissonanza con il suono orchestrale Pessima l'idea di affidare “Bella vita militar” a un gracchiante LP: se ci può stare l'idea che l'aria è completamente inventata da Alfonso per gioco e per ingannare le ragazza, il risultato è lo stesso fastidio che si ingenera con il fischio del gesso sulla lavagna, quando si drizza il pelo sulla schiena. Nel cast si sono messi in luce Sally Matthews (Fiordiligi, splendida voce dal colore scurissimo), la bella Danielle De Niese (Despina) e il giovane Luca Pisaroni (Guglielmo); più deboli Maite Beaumont (Dorabella), Norma Shankle (Ferrando) e Garry Magee (Don Alfonso). Della trilogia ho mancato “Le nozze di Figaro”. FRANCESCO RAPACCIONI Visti ad Amsterdam, Muziektheater DNO, il 25 e il 26 novembre 2006